“Ma ti pare che salta tutto per i collegi in Sudtirol e per il blog di Grillo che si deve pronunciare, per la seconda volta, sulla bontà o meno della legge elettorale? Non prendiamoci in giro. La verità è che questa legge doveva saltare perché, tranne Lega e Berlusconi, non piaceva più né a Renzi né a Grillo. Per altri, e mi riferisco alle dichiarazioni eccellenti di questi ultimi giorni, da Napolitano a Prodi passando per Veltroni e Bindi, era necessario sgomberare il campo anche dall’ipotesi sempre più consistente del voto anticipato”. Alle cinque del pomeriggio, dopo una giornata come non se ne vedeva da mesi, forse anni, i deputati Pd addetti al dossier legge elettorale cercano di tirare le fila. Non tanto di quanto è accaduto in mattinata – “è stato sfruttato il primo incidente utile” - ma di quello che succederà adesso. Provando a sciogliere alcuni nodi.
Il Germanellum non c’è più – “La legge elettorale è morta e il killer è il Movimento 5 Stelle” dichiara il relatore Emanuele Fiano poco dopo che la maggioranza è andata sotto nell’emendamento Biancofiore (Fi) sui collegi in Trentino. Una dichiarazione così forte ed esplicita dice quello che dice e non ammette grigi. Il capogruppo Rosato attacca i grillini: “La loro parola non vale nulla, nulla, nulla”. A parte l’incidente – ma anche su questo si potrebbe obiettare – del voto segreto diventato palese sul tabellone elettronico (è successo solo un’altra volta in vent’anni) sul primo voto segreto di circa duecento previsti, Rosato attacca i 5 Stelle che, senza avvisare “il tavolo dei 4”, votano a favore di un emendamento che gli altri soci avevano bocciato. Va detto che Forza Italia fa come gli pare nonostante il monito di Brunetta. E anche nel Pd c’è chi fa di testa sua. Senza contare i grillini, sono almeno 59 i franchi tiratori. A sera il Germanellum è morto e sepolto, è tornato in Commissione e ci resta.
Se ne farà un’altra? Ufficialmente, lo dice il coordinatore del Pd Matteo Richetti, “se ne riparla dopo il voto delle amministrative”. La tendenza-Camera è che si andrà a votare a scadenza legislatura “ma solo grazie ad un decreto o una leggina“ che armonizzerà quel che resta del sistema di voto dopo le sentenza della Consulta: un proporzionale puro con sbarramento al 3% alla Camera e all’8% al Senato. Si attende come un oracolo il verbo del Quirinale. Mattarella convocherà le segreterie dei partiti? Li inviterà al Colle per esercitare la moral suasion? Difficile faccia un messaggio alle Camere. Ma se la via dovesse essere quella del decreto, è quasi certo che non prenderà forma prima della fine di dicembre. O metà gennaio. Il voto anticipato perde verticalmente quota.
Chi vince – A giudicare dalle istantanee in aula, quella parte dei 5 Stelle ortodossi che non volevano l’accordo. E forse neppure Di Maio candidato premier. Quando il Patto a 4 va sotto, esultano Roberto Fico, Roberta Lombardi e quelli che in questi ultimi giorni sono riusciti ad instillare nel Capo politico il dubbio che lo ha fatto vacillare nelle dichiarazioni (“in questa legge non si capisce nulla”) fino a convocare nuovamente il voto on line per domenica. Vincono i piccoli partiti di centro, Ap di Alfano in testa, per cui il Germanellum con soglia al 5% e divieto di coalizioni, sarebbe stata la tomba. Vince quella parte del Pd, orlandiani e franceschiniani, che non volevano i nominati, puntano alla coalizione con Pisapia, e meno che mai vogliono il voto anticipato. Vince anche Pisapia che ha più tempo e spazi di manovra per la sua creatura progressista. Spiazzati Mdp e Si che già avevano fatto i conti per una super allenza a sinistra proprio con Pisapia.
Chi perde – Luigi Di Maio e Davide Casaleggio che già si vedevano a palazzo Chigi. I 5 Stelle sono spaccati e frantumati – da una parte gli ortodossi e dall’altra i realisti – e adesso però, rispetto alla loro base, hanno tutti la macchia del peccato originale: hanno inciuciato, male, e sono diventati un partito a tutti gli effetti.
Perde anche Berlusconi. Non a caso l’unico dei quattro leader a parlare subito dopo il disastro. “L’incidente di oggi in aula non è una buona ragione per accantonare uno sforzo generoso sul quale avevamo trovato una convergenza con il Partito democratico, i Cinque Stelle e Lega”. La verità è che il Cavaliere era, grazie al Patto a 4, tornato ad essere un player della scena politica. Se il tavolo salta, Berlusconi rischia l’emarginazione. Facce lunghe tra i deputati azzurri.
E chi pareggia – Matteo Renzi: la legge non gli piaceva, non era la sua; i compagni di tavolo neppure e la litania dell’inciucio con Berlusconi lo aveva già stufato. C’ha provato ed è arrivata la prova che in questo Parlamento, con questi numeri, leggi condivise sono una rarità. Figurarsi la legge elettorale. Ancora presto per dire se il segretario del Pd ha perso del tutto la battaglia del voto anticipato. Si riapre invece per Renzi la partita a sinistra. Proprio con Pisapia.
C’è ancora una maggioranza di governo? Se lo chiede il capogruppo Rosato (Pd) subito dopo l’affossamento della legge. “Come va avanti questa maggioranza? Con Ap con cui i rapporti nell’ultimo periodo si sono deteriorati? Con Mdp che il 40% delle volte vota contro l’esecutivo?”. Alfano fa subito sapere che “Ap sarà alleato sincero del governo Gentiloni”. I centristi non apriranno mai una crisi, su questo si può stare certi. Il primo test è a breve: la riforma del processo penale è in aula la prossima settimana (il 15). Alfano non la vuole. Se viene messa la fiducia che succede? Il governo si porta a casa la riforma. Uno schema che potrebbe ripetersi anche per ius soli, fine vita, codice antimafia. Insomma, tutto sommato, certo che Alfano non staccherà mai la spina, il segretario del Pd potrebbe sfruttare in positivo questi ultimi mesi approvando leggi che il Paese attende da anni. E che avrebbero anche il merito di riunire la sinistra. Poi ci sono i dossier economici. La vera partita. Ma lì si entra nell’imponderabile. Da registrare che ieri anche l’indice di borsa di Milano ha sorriso all’affossamento della legge.
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