Caso Regeni, Manconi: "Riapriamo l'ambasciata in Egitto ma si attuino misure alternative per avere la verità". Il senatore che guida al Senato la Commissione per i diritti umani rimprovera l'Eni. "In 18 mesi solo una volta parole di vicinanza alla famiglia". La ricucitura diplomatica può passare anche da qua *
Se vogliamo inviare nuovamente il nostro ambasciatore al Cairo, lo si faccia, “non ho pregiudizi sul punto” dice il senatore Luigi Manconi, membro della commissione Difesa e soprattutto presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani. E però, aggiunge subito dopo, “si trovino altri modi per fare pressione sul regime di Al Sisi e sulla procura del Cairo per avere tutta la verità sul massacro di Giulio Regeni”. Un suggerimento anche l’Eni, il player economico-commerciale più strategico tra Libia e Egitto: l’ad Descalzi trovi il modo di dimostrare interesse e vicinanza al dossier Regeni e alla famiglia.
Intervistiamo Luigi Manconi dopo che il dibattito parlamentare sulla nuova missione in Libia ha riportato, come avete letto su Tiscali.it, in primo piano, con urgenza pur tra timidezze e imbarazzi, il caso della vacanza diplomatica dell’Italia dall’Egitto. Nell’aprile 2016, due mesi dopo il ritrovamento del cadavere del ricercatore universitario Giulio Regeni e nella totale assenza di risposte sul piano dei responsabili di quel massacro, è stato ritirato l’ambasciatore – all’epoca era Massari – come esplicito atto di ritorsione nei confronti del regime di Al Sisi. Da allora, tra mille depistaggi e bugie, pochi passi avanti sono stati fatti sul piano della verità. E non c’è dubbio che l’Italia sia molto esposta in un quadrante – Egitto, Libia, medioriente– dove si stanno giocando partite molto delicate sul piano della sicurezza e degli interessi commerciali sulle fonti energetiche. Vuoti che, ad esempio, potrebbero favorire la Francia e il decisionismo del suo presidente Emmanuel Macron.
Manconi parla a titolo personale ma non c’è dubbio che sia stato lui in questi lunghi mesi il punto di riferimento politico non solo per la famiglia ma anche per tutte quelle associazioni, da Amnesty a Antigone a cui va aggiunto un largo fronte sociale, che lottano per pretendere la verità su quel rapimento, su una settimana di torture e il massacro del giovane ricercatore friulano.
Senatore Manconi, come giudica l’ipotesi di riaprire l’ambasciata italiana al Cairo?
“Non ho mai avuto alcuna posizione preconcetta su questo argomento. Il dato cruciale però è questo: in questi 18 mesi il richiamo in Italia dell’ambasciatore al Cairo è stato l’unico atto di pressione esercitato dal governo italiano nei confronti del regime di Al Sisi”.
Cosa propone?
“La sola possibilità che venga rivista la decisione assunta dal governo l’8 aprile 2016 è che lo stesso governo elabori, predisponga e attui misure altrettanto efficaci ed incisive del richiamo dell’ambasciatore. Misure che segnalino che tra Italia ed Egitto non è stata ripristinata la normalità delle relazioni diplomatiche”.
Chiede e suggerisce un’operazione di contesto?
“Se ci si limita a riaprire l’ambasciata, si dichiara la nostra impotenza e la nostra rinuncia a perseguire la verità sul caso Regeni”.
In questi diciotto mesi però non è che l’assenza dell’ambasciatore abbia prodotto chissà quali risultati. Magari, con la sede diplomatica aperta potremmo dare più garanzie anche a chi potrebbe voler collaborare.
“La procura del Cairo ci deve consegnare i file delle telecamere collocate nel luogo dove Regeni è stato rapito e nel luogo dove è stato ritrovato cadavere. Questo impegno è stato più volte ribadito dalle autorità egiziane ma mai mantenuto”.
“Misure efficaci ed incisive in alternativa al ripristino della sede diplomatica”. Ad esempio?
Ebbi modo di parlarne circa un anno fa con l’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Misure alternative furono essere immaginate nel campo delle relazioni militari tra Italia ed Egitto, in quello dei rapporti universitari, della cultura e dello sport, ma anche nel campo del turismo e dei rapporti commerciali. Non una di queste misure è stata avviata e attuata. Se apriamo nuovamente ambasciata senza alcuna misura alternativa, comunichiamo che tutto è risolto. In questo modo regime e procura egiziana continueranno a mortificarci”.
Senatore, lei sa bene che in questo momento la situazione nel quadrante Libia-Egitto-Turchia e Siria è molto in movimento, sotto tanti punti di vista. L’Italia rischia di restare isolata e fuori dai giochi?
“Ripeto, personalmente non ho nulla in contrario all’invio del nostro ambasciatore. Si attuino però misure alternative. E’ in gioco il rispetto dei diritti di una famiglia e di tutto il paese”.
Nel 2015 Eni ha scoperto nel mare davanti all’Egitto il più grosso giacimento di gas del Mediterraneo. Il valore stimato è di circa 850 miliardi. La Francia è fuori da questa operazione. Non crede che sarebbe giusto dare alla nostra compagnia l’appoggio necessario?
“Rilevo questo: in diciotto mesi solo in un’occasione ci sono state parole di vicinanza tra i vertici dell’Eni e la famiglia Regeni”.
* questa intervista è stata pubblicata su Tiscali.it il 4 agosto
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