La storia di Youssef Zaghba, classe ’95, mamma italiana e babbo marocchino, è una di quelle che spiega perché è praticamente impossibile prevenire gli attentati di matrice islamista. Almeno quelli fai-da-te. E spiega anche perchè è quanto meno troppo semplicistico parlare di buchi nell’intelligence inglese.
Il giovane Youssef entra nei radar della polizia italiana a marzo 2016, all’aeroporto di Bologna. Quel giorno il giovanotto ha in mano un biglietto di sola andata per Istanbul e uno zainetto. Due elementi che sommati fanno scattare nel nostro antiterrorismo immediato segnale di pericolo. Figuriamoci quando il ragazzo ammette candido agli agenti della Polaria: “Dove vado? Vado a fare il terrorista”. Racconta una fonte del nostro antiterrorismo che da 24 ore maneggia il dossier Zaghba: “Il ragazzo si rende conto di aver detto una stupidaggine e si corregge subito dopo con un buon italiano dicendo che no, che andava a fare il turista”. Ce n’è quanto basta per intelligence e anti terrorismo per mettere Youssef nella lista degli “attenzionati” . Nel telefonino ha, anche lui, materiale vario su Isis, Daesh, guerra santa e guerra ai crociati. Ma nonostante la denuncia per il 270 bis (terrorismo internazionale), il giudice italiano ritiene Youssef “persona nei cui confronti non sussistono al momento indizi concordanti e sufficienti per condannarlo”. Anzi, lo stesso giudice bolognese, confortato anche dai racconti di mamma Valeria Khadima Collina, tende a dare retta a ciò che dice la madre quando parla di quel “figlio amatissimo ma molto immaturo che abbiamo anche cercato di curare sottoponendolo ad una terapia coranica che gli insegnasse la vera parola del Profeta”.
Va raccontata, allora, la parabola di Youssef, da scemetto immaturo che agli agenti italiani dice “io vado a fare il terrorista” a kamikaze che si lancia sulla folla del sabato sera a Borough market di Londra armato di coltello e finisce sparato a terra dalla forze speciali.
Mamma Valeria è una signora della provincia di Bologna (Valsamoggia) che da ragazza s’innamora di un ragazzo marocchino venuto a lavorare in Italia, si converte e vanno insieme a vivere in Marocco. Mohammed, il padre, è un tabligheddawa, un predicatore islamico “devoto osservante” ma, si assicura, “né radicale né integralista”. Comunque sia troppo severo e rigido se anche mamma Valeria un paio d’anni fa decide non di rinnegare la fede islamica ma il marito e se ne torna in Italia, a Bologna.
Youssef è una ragazzino che dà problemi. “Immaturo”, è la parola più semplice che la mamma usa nel descriverlo alla polizia quando martedì sera l’ha contattata per comunicare che fine aveva fatto il figlio. “Facilmente influenzabile” aggiunge “ma né in Marocco né in Italia s’era mai fatto trascinare da amicizie sbagliate”. E’ successo “tutto a Londra”, è sicura mamma Valeria, e solo per colpa del web. Ogni tanto mi mostrava qualche video sulla Siria, per lui era un luogo dove si poteva vivere diventando qualcuno, era motivo di orgoglio. Ho cercato di fargli cambiare idea…”. D’accordo anche con il padre, quando ancora vivevano in Marococ, i genitori sottopongono Youssef “ad una terapia coranica che avrebbe dovuto spiegargli cosa è il vero Islam.
La terapia, a quanto pare, non funziona. Quando mamma Valeria lascia marito e Marocco, anche quel figlio “immaturo” scappa a gambe levate dal padre e dalla terapie coraniche. E va a Londra dove trova lavoro come cameriere.
Dopo il primo arresto nel marzo 2016, Youssef torna in Italia altre due volte. Viene seguito dalla polizia in ogni suo spostamento. Il dossier è da subito condiviso con Londra e MI5. Per gli archivi italiani non è un “foreign fighter” perché tecnicamente non ha mai raggiunto la Siria e quindi non ne ha fatto ritorno. E’ però un cittadino con doppia cittadinanza italo-marocchina, come tale ha un passaporto che gli consente d muoversi con grande libertà in Europa e viene inserito nella lista degli attenzionati. In Gran Bretagna sono tremila. In Italia “meno di un migliaio”. Ma, insiste la fonte dell’antiterrorismo, “il più pericoloso dei nostri non sta neppure nelle liste dell’antiterrorismo inglese”. Che dal 7 luglio 2005 hanno il problema gigantesco di non riuscire a monitorare tutti gli attenzionati – almeno tremila - la cui lista va aggiornata in continuazione.
Se Youssef era un balordo per noi, per MI5 il suo profilo era troppo basso per essere ritenuto pericoloso. Eccola qua l’arma più subdola dell’Islamic state: un balordo che tutti, anche i suoi genitori, consideravano “solo molto immaturo”; due amici di recente radicalizzazione, coltelli a lama lunga e un furgone a noleggio sono più che sufficienti per scatenare l’inferno. Il minimo investimento per il massimo dei risultati. “Quando è così – dice la nostra fonte – ti va bene se li prendi. Dopo però, quando hanno agito”. Ecco perché è facile parlare di buchi nella rete dell’intelligence.
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