Dicono che Giancarlo Cancelleri si faccia vedere in giro ormai da settimane con l'abito
buono da governatore. Grisaglie e freschi di lana adatti all'allure
di palazzo d'Orleans. Dicono anche, i Sicilian Watchers, che da
qualche giorno il predestinato dei 5 Stelle alla guida dell'isola allenti la cravatta con
un qualche segno di disagio. E di fastidio. L'impiccio in questione
si chiama Piero Grasso, ex procuratore nazionale antimafia, giudice a latere
del maxi processo, uno dei pochi che è riuscito a condannare per
mafiosità i politici siciliani. Uno per tutti: Totò Cuffaro, l'ex
governatore condannato per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra.
Suda freddo, Cancelleri, e
con lui Grillo, perchè quella di Grasso è un'opzione che non
avevano previsto. Convinti, in questo, da un paio di questioni. La
prima: i rapporti tra il segretario del Pd Matteo Renzi e il
presidente del Senato sono sempre stati di reciproca distanza e
rispetto dove chiaramente nessuno è fan dell'altro. La seconda la
spiegava l'altro giorno a Montecitorio l'ex deputato Calogero
Mannino: “Il Pd in Sicilia si ritrova ad essere frequentato da cuffariani in buona fede ma sempre cuffariani. E' chiaro che Grasso non potrà mai correre il rischio di prendere voti
da qualche mascariato. Intendo dire che pretenderà un controllo
totale sulle liste e questo costerà non poco in termini di
consenso”. E insomma, conclude Mannino, “siamo sicuri che a
Grasso convenga esporsi in questo modo?”. Molto più comodo
ritagliarsi un posto tra le riserve della Repubblica pronto ad
entrare in campo – come ministro ma perchè no, anche come
Presidente del Consiglio - se e quando necessario. A Roma, però.
Lontano dalla Sicilia e da Palermo.
Terra strana la Sicilia.
Linguaggio particolare quello dei siciliani. Il presidente del
Senato, seconda carica dello Stato, si preoccupa al momento di tenere
a bada quella gabbia di leoni che può diventare l'aula del Senato in
certe occasioni. Oggi, ad esempio, quando l'incardinamento in aula
dello ius soli - la cittadinanza per chi è nato in Italia o qui ha
concluso con successo un intero ciclo di studi e quindi una legge di
civiltà - ha scatenato i leghisti dentro e Casa Pound fuori. È successo tante volte in questi anni. Così tante da rimpiangere a volte la tensione di certe aule di giustizia. A chi
gli ha parlato dell'opzione Sicilia, ha risposto con quel sorriso
lontano che vuol dire tutto ma non dice nulla. E che comunque sa.
La novità è che la
proposta gli è stata recapitata direttamente dal coordinatore della
segreteria del Pd Lorenzo Guerini. E che il giovane segretario dem
siciliano Fasto Raciti è "senza se e senza ma" convinto della
necessità della sua candidatura. “Una coalizione larga, da
Sinistra italiana ad Alfano, la stessa che ha portato al successo
Leoluca Orlando” spiega Raciti. Il voto di Palermo era uno dei test attesi per
dare il via libera. Altri pretendenti, ad esempio il sottosegretario
Davide Faraone, hanno dovuto accettare il progetto. Alfano avrebbe dato il via libera.
Dalla parti del Nazareno
s'immaginano consensi larghi, oltre il 40 per cento. I calcoli, sempre importanti in politica, dicono che sarebbe una benedizione, in vista delle politiche del 2018, bloccare così la corsa dei 5 Stelle. E, in fondo, Grasso sarebbe anche il primo test di un'ipotesi di coalizione di centrosinistra. Una candidatura
blindata che potrebbe suggestionare, in positivo, quella parte,
grande, larga e trasversale, di siciliani delusi dal governo
Crocetta che non si rassegnano ad un governo 5 Stelle.
Per Grasso sarebbe una
sfida politicamente difficile ma umanamente affascinante. Piena anche di suggestioni. Andare a occupare la poltrona più alta di
palazzo d'Orleans, dopo aver già onorato quella di procuratore capo,
sarebbe il completamento di un percorso a cui manca il miglio finale. E il più importante. Nell'ultimo libro “Storia di sangue amici e
fantasmi” (Feltrinelli) Grasso scrive due lettere agli amici e colleghi di una
vita: apre la missiva a Giovanni Falcone e chiude quella a
Piero Borsellino. Con questa citazione: “La lotta alla mafia, il
primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e
disgraziata, non doveva essere solo una distaccata opera di
repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti
e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire
subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il
puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e
quindi della complicità”. La lettera è quasi una promessa:
completare, se non avviare, quella rivoluzione culturale visto che
alla repressione Grasso si è già dedicato, con successo, per quasi
quarant'anni. Farlo nel momento in cui
al Quirinale siede un altro siciliano doc che vanta più di un
credito con la mafia – il presidente della Repubblica Sergio
Mattarella – sarebbe una felice coincidenza.
Forse la risposta di
Grasso all'ipotesi di guidare la regione Sicilia va cercata proprio
tra le pagine di quel libro. Che non è solo un libro di mafia
dedicato “a chi è nato dopo il 1992” e dove bellissima, tra le
altre, è l'analisi storica del contesto politico-sociale in cui avvengono la
strage di Portella della Ginestra e l'omicidio di Piersanti
Mattarella, entrambi fenomeni di “eversione conservativa” perchè
bloccano con il sangue il compromesso storico e l'alleanza tra le
forze di sinistra e quelle di centro. Quel libro assomiglia tanto al
programma politico di chi promise a Borsellino di fare della Sicilia
una terra bellissima e non più disgraziata.
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