Rischia di
essere un fine legislatura molto stabile e proficuo. Un “rischio” che potrebbe
piacere al paese. Riavvicinare al voto quel 50 per cento di italiani che non
hanno votato alle amministrative quando tra febbraio e marzo 2018 tornerà il
tempo di andare al voto. Ricompattare, almeno nella base, un centrosinistra
dilaniato da protagonismi, faide e scissioni. Infine, massimo del paradosso,
fare di Paolo Gentiloni il premier più amato degli ultimi sei anni. Senza per
questo nulla togliere ai provvedimenti ad esempio per il sociale - come unioni
civili e “dopo di noi” - approvati e agli
altri già impostati dal governo Renzi ma offuscati, purtroppo, da veleni e odi
personali. E da una maggioranza sempre sotto ricatto per via dei numeri.
Domani già nel
primo pomeriggio il nuovo processo
penale sarà legge. Grazie al voto di fiducia che taglia in radice il
problema dei 600 emendamenti, molti con voto segreto, il ministro della Giustizia Andrea Orlando potrà finalmente
concludere l’iter di una riforma iniziata nell’estate del 2014, che in questi anni ha avuto molti più stop che
go e che contiene, anche, il senso politico e tecnico del suo mandato. Il ddl penale
è il termometro perfetto per misurare la febbre della maggioranza allargata ai
centristi di Alfano, tutti ex figli di Berlusconi che certo non possono sopportare
di vedere allungare i termini per far scattare la prescrizione. O di veder aboliti
decine di quegli stratagemmi che sono tra le cause del record italiano sulla
durata dei processi.
Il “problema”
Alfano è stato risolto dieci giorni fa quando, ancora in piedi il tavolo a 4
sulla legge elettorale e la prospettiva del voto anticipato, il ministro degli Esteri
e il segretario Pd si sono liquidati a vicenda. “Renzi è uno sfascia governi” disse
Alfano. “Se uno che ha fatto il ministro per cinque anni non riesce ad arrivare
al 5%, il problema è suo” replicò Renzi. Caduto il tavolo, è rimasta un’arma
infallibile: o si votano le riforme o c’è la crisi di governo. Un ricatto, si
potrebbe dire, a fine di bene. Perché una cosa è chiara: nessuno, da Ap a Mdp,
è disposto ad andare a casa prima del previsto. Nessuno, quindi, farà mancare la
fiducia al governo Gentiloni.
In questo
quadro si comprende bene la decisione di
palazzo Chigi di mettere la fiducia anche sul processo penale. Si tratta di una
norma che non piace ai magistrati quando, ad esempio, impone che entro tre mesi
dalla chiusura delle indagini l’accusa deve decidere se archiviare o chiedere
il giudizio. E neppure agli avvocati che non tollerano una prescrizione molto
più lunga (sospesa per 18 mesi dopo la sentenza di condanna in primo grado e
per altri 18 mesi dopo la condanna in appello e limitatamente agli imputati
contro cui si procede). Non sarà la soluzione dei mali della nostra giustizia
ma tra limiti a ricorsi e impugnazioni, aumento delle pene per reati come
furto, rapina e voto di scambio ed estinzione delle pena se c’è il risarcimento
(solo per reati perseguibili con querela di parte), si tratta di una riforma di
sistema (contiene anche la delega per limitare abusi sulle intercettzioni) che dovrebbe sbloccare molto
arretrato.
Il presidente
del Senato Piero Grasso ha chiesto “un patto di fine legislatura” per approvare
norme di principio come lo ius soli (la cittadinanza per gli stranieri nati in
Italia), il testamento biologico, il
diritto ad interrompere le cure quando non ci sono più speranze. Giovedì lo ius soli andrà finalmente in aula al Senato.
Il testo, approvato alla Camera nell’ottobre 2015, è fermo da allora per il
parere contrario di Forza Italia, Lega e centristi. Sommerso da seimila emendamenti, si è deciso
finalmente lo strappo e di portarlo in aula senza relatore. E’ prevedibile che
la maggioranza prenda ancora dieci giorni di tempo e superi il turno del
ballottaggio alle amministrative per poi trovare un canguro o una tagliola che superi
la mole di emendamenti. Il tema della cittadinanza agli stranieri – se con un
reddito, un permesso di soggiorno duraturo e un ciclo di studio completato –
può essere facilmente cavalcato con facili propagande nel voto locale.
Anche il testamento biologico, approvato a fine
aprile alla Camera, è in Commissione sanità al Senato. La presidente De Biase
(Pd) sta facendo audizioni – ne sono previste 70 – anche di notte pur di
arrivare alla votazione prima dell’estate. In questo caso non è pensabile
ricorrere alla fiducia e l’iter parlamentare è ancora lungo. Ma l’80 per cento
degli italiani vogliono quella legge. E anche la Santa Sede e la Cei non
sembrano alzare più barricate ideologiche.
“Su ius soli
e biotestamento ci sono le condizioni per chiudere. Idem per processo penale e codice antimafia (sequestro dei beni
anche per i corrotti, ndr), reato di tortura e liberalizzazione della cannabis è
più difficile” ha detto Renzi.
Intanto il
governo chiude e approva i decreti che dettano le regole del reddito di
inclusione e sta lavorando a pancia bassa su Mezzogiorno e coesione sociale e
territoriale. Cure per alleviare rabbia e disuguaglianza sociale. Quello che
serve al Paese.
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